Il nostro secolo
Il colloquio bilaterale tra lavoratori e datori di lavoro fu molto facilitato dal governo Giolitti che operò una profonda svolta politica facendo che lo stato dimostrasse "coi fatti e non con le parole" la propria imparzialità nei conflitti di classe e garantisse il pieno esercizio dei diritti sindacali. La nuova tattica giolittiana diede in pochi anni risultati notevoli: le industrie fecero un balzo in avanti, il denaro prese a circolare, ed economicamente il paese ne uscì rinforzato. Nel 1912, poi, quasi a coronamento della sua opera politica, Giolitti introdusse il suffragio universale (con l'esclusione delle donne) che portò il numero degli elettori a 9 milioni. La ripresa economica tuttavia era destinata a durare ancora per poco: in un primo tempo la guerra di Libia e poi la 1a guerra Mondiale costrinsero centinaia di giovani a lasciare le famiglie e il lavoro per andare a combattere al fronte. Olevano pagò un duro prezzo di vittime: gli Olevanesi che non fecero più ritorno furono ben quarantasette. Nonostante ciò fu immensa la gioia il 4 novembre 1918, giorno nel quale fu firmato l'armistizio: le campane suonarono a festa e tutti si riversarono nelle strade per festeggiare la fine di un così tragico onflitto. Il quadro politico italiano degli anni seguenti apparve profondamente mutato: il Partito Socialista ottenne larghissimi consensi (le elezioni amministrative del 1914 avevano già portato ad Olevano l'elezine di Giovanni Cantone, primo sindaco socialista), i cattolici si organizzarono nel Partito Popolare mentre gli ex combattenti, di estrazione piccolo borghese, aderirono sempre più numerosi al Movimento fascista.
Le lotte sindacali, tra cui lo sciopero generale di Lomellina del 5 marzo 1920, suscitarono la progressiva reazione borghese ed agraria che trovò il proprio esercito di ventura nelle Squadre d'Azione Fascista. Queste sorsero a Mortara nel febbraio del '21 e iniziarono subito, appoggiati dalla locale associazione agraria, azioni di rappresaglia contro le leghe socialiste di tutti i paesi. A Ceretto, Lomello, Cergnago caddero le prime vittime mentre un po' dovunque venivano arrestati e condannati i rappresentanti sindacali. L'8 maggio dello stesso anno i fascisti celebrarono il loro trionfo in Lomellina con una manifestazione a Mortara a cui partecipò anche Mussolini che il 31 ottobre dell'anno seguente diventerà Capo del Governo1. Nel 1923 il parroco scrive che nel paese, fino a poco tempo prima diviso fra socialisti e liberal-fascisti, "regna ora una concordia un po' falsata". Il sindaco socialista Giovanni Risè fu sostituito dal Podestà, Pietro Bellone, nominato su designazione regia, ma, nonostate le pressioni ed intimidazioni delle squadre di Cesare Forni, alle elezioni politiche della primavera del 1924 si registrò un imprevedibile successo del neonato partito comunista.
Nel 1925 fu lanciata dal governo fascista la campagna per la battaglia del grano, con lo scopo di incentivare la produzione nazionale del prodotto. In Lomellina la produzione del frumento subì un rapido innalzamento, grazie anche all'introduzione della tecnica del trapianto nella coltivazione del riso. Questo sistema, sperimentato a partire dal 1912 presso la stazione di risicoltura di Vercelli per iniziativa del senatore Novelli, permetteva di trapiantare entro il mese di giugno le piantine di riso, cresciute in un semenzaio, su terreni precedentemente coltivati a grano o più raramente a prato. Si potevano così ottenere due raccolti. Il trapianto e la successiva "monda" richiedevano molto lavoro, occupando tutta la mano d'opera disponibile in loco e richiamando molti lavoratori "forestieri" dalle varie regioni d'Italia. I salari più alti e l'offerta di lavoro spinsero molti abitanti della Lombardia oriental e delle Venezie verso la Lomellina. Il fenomeno fu una vera e propria epopea che si protrasse fino agli anni Sessanta: all'inizio dell'estate, migliaia di donne, accolte alla stazione di Mortara, erano smistate nelle aziende agricole dei nostri paesi dove venivano assunte per la monda del riso, da cui il nome di mondine o mondariso. Il loro lavoro era lungo e faticoso: chine sotto il sole implacabile, con i piedi e le mani nell'acqua fangosa, strappavano a mano le erbe infestanti. L'orario di lavoro raggiungeva le 12 ore giornaliere. A una prima monda ne seguiva una seconda, dopo una ventina di giorni, e spesso anche una terza. Le mondine erano alloggiate in dormitori comuni arredati con pagliericci o brandine; il vitto era povero e la paga pure. Grande era la fatica e molte le privazioni e le sofferenze cui queste donne si sottoponevano nei quaranta giorni di monda per uno scarso compenso, che era però indispensabile per sostenere il povero bilancio delle loro famiglie. Nelle nostre campagne, ora che le mondine sono ormai scomparse, è ancora vivo il ricordo della loro spensierata allegria giovanile e dei loro canti spiegati che scandivano il ritmo del lavoro. Una donna intonava il motivo, con un assolo quasi gridato, al quale si univano tutte le altre in un coro di volta in volta malinconico o allegro, ma sempre ricco di pathos strugente2.
Verso la fine degli anni Venti si diede l'avvio alla costruzione del nuovo palazzo comunale e alla realizzazione della piazza, ora Piazza della Libertà, e delle vie adiacenti (via Marconi e via Cesare Battisti). Il Palazzo Municipale fu progettato nel 1927 dall'ingegnere pavese Pietro Zorzoli e fu terminato negli anni successivi con la spesa complessiva di 208.403,11 lire. Il nuovo palazzo comunale, con annessa l'ala riservata alle Scuole Elementari, fu inaugurato il 9 novembre 1930 alla presenza del Duca di Bergamo e di tutte le maggiori personalità della provincia; dopo centinaia di anni il Comune lasciava la sua sede di via Vittorio Emanuele II, per lasciare posto alla Casa del Fascio.
Gran parte della popolazione aveva sopportato il regime fascista in un silenzio rassegnato che sconfinava nell'indifferenza. Quando però, il 10 giugno 1939, in tutte le piazze della penisola, l'altoparlante diffuse la voce di Mussolini che annunciava l'entrata in guerra, la gente rimase attonita. Anche se lontano dai centri nevralgici, il conflitto si fece sentire anche ad Olevano. Incominciarono ad arrivare gli sfollati dalle grandi città mentre molti giovani furono strappati dalle famiglie per raggiungere il fronte. In alcune occasioni gli aerei nemici sganciarono anche alcune bombe in vicinanza della ferrovia rischiando di colpire il centro abitato ed il cimitero; durante uno di questi bombardamenti si aprì nel muro della chiesa parrocchiale una lunga crepa che ancora oggi testimonia quei terribili momenti. La guerra andò subito male per l'Italia: l'impreparazione militare, la sottovalutazione delle forze avversarie e l'improvvisazione con cui fu affrontata, portarono alla disfatta del nostro esercito e ala caduta del regime. Il 26 luglio 1943, a poche ore dalla caduta del fascismo e dall'arresto di Benito Mussolini, i fascisti erano scomparsi da Olevano e da tutta la Lomellina: uomini, donne, e giovani si raccolsero esultanti in piazza. La collera popolare si rivolse contro gli emblemi fascisti, furono abbattuti i fasci e bruciati scritti e documenti.
Subito dopo arrivarono i tedeschi, ed i fascisti, organizzata la Federazione dei Fasci Repubblicani, fecero eco alle minacce delle SS tedesche non nascondendo i loro propositi di rivincita e di vendetta. Si costituirono così nei nostri paesi i SAP, Squadre di Azione Patriottica, dirette da Carlo Lombardi, che iniziarono a colpire i nazisti con azioni quotidiane di guerriglia. La resistenza partigiana ben presto si spostò nelle zone montuose dell'Oltrepò Pavese e di iniziò la dura lotta per la liberazione nazionale. Nella primavera del '45 gli Anglo-americani, sfondata la linea Gotica, entrarono in Bologna: il 25 aprile tutta la Resistenza insorse mentre le truppe tedesche cercavano scampo ovunque. La mattina del 26 aprile un intero convoglio ferroviario carico di viveri fu abbandonato presso il ponte ferroviario sull'Agogna, a poche centinaia di metri dalla stazione di Olevano, e saccheggiato dalla popolazione: dopo poche ore il treno fu preso di mira da un'incursione aerea tedesca che provocò alcuni morti e feriti. Un altro cruento fatto turbò la vita del paese fu la misteriosa uccisione del segretario comunale, il signor Domenico Milano, avvenuta la sera di sabato 9 maggio, mentre i giovani del paese festeggiavano la riconquistata libertà sulla balera pubblica. Nei mesi seguentila vita riprese fra mille difficoltà, ma con la volontà di ricostruire ciò che la guerra aveva spazzato via in pochi anni. Con il primo gennaio 1946 l'Italia settentrionale fu restituita formalmente dal governo alleato all'Amministrazione italiana che preparò l'elezione per l'Assemblea Costituente e per il Referendum Istituzionale: dopo sei mesi, il 2 giugno fu proclamata la Repubblica.
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1 Ferrario: Carlo Lombardi...
2 FRANCESCO ADAMO e AA VV
La pianura del riso ed il Pavese
Milano, Fabbri Editore, 1982